Tagli di luce e ombra

Sulla soglia - fisica e metaforica - dei dualismi, lo spazio outdoor è esposizione e insieme riparo. Ridisegna gli spazi domestici ma anche le architetture. Racconta di territori, abitudini ancestrali. E danze ipnotiche

di Claudia Foresti

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L’outdoor non è (solo) il fuori. L’outdoor è un archetipo di habitat primordiale, un riparo arioso. Un dentro ma fuori. Un’area interstiziale tra gli ambienti di pertinenza della casa e lo spazio pubblico. Un luogo liminare che estende l’interno domestico e allo stesso tempo protegge dall’esterno che, soprattutto a livello climatico, si fa sempre più invasivo. L’outdoor è apertura ma anche rifugio, esibizione e insieme intimità. È esposizione alla luce e al calore e al tempo stesso ombra e refrigerio. L’outdoor si trova sulla soglia dei dualismi, su un confine fluido e smarginato in cui convivono contraddizioni. A disegnarlo – tratteggiarlo – una danza di luci e ombre.

L’outdoor è un luogo strategico, metaforicamente e architettonicamente, che permette di godere del tepore del sole ma anche di dar origine agli effetti preservativi, rinfrescati e rigeneranti di un rifugio ipogeo posto però all’esterno. L’outdoor è uno spazio da abitare e da allestire con arredi sempre più belli come (se non di più) quelli da interni, non soltanto più resistenti e performanti.

Ma l’outdoor è anche uno spazio determinante: se progettato in modo sapiente e calibrato può generare un benessere sensoriale e un raffrescamento benefico alla casa. Le svariate soluzioni costruttive, distributive, decorative – contemporanee e vernacolari – che nei vari paesi e culture sono state adottate riguardo alla valorizzazione conviviale e contempo al riparo atmosferico degli spazi esterni – dai giardini ai chiostri, da corti e cortili a terrazze e roof top, allestiti con piante, fiori, orti, facciate traforate, pareti verticali e dotati di tettoie, pergole, persiane e schermature varie – hanno definito la configurazione interna ed esterna degli edifici, raccontando stili di vita, costumi e abitudini territoriali arcaiche.

A emergere netta è la differenza tra nord e sud del mondo. Se al nord la luce, con il calore tiepido e vitale che emana, deve essere catturata, non se ne può sprecare neanche un raggio, al sud la luce abbagliante e sfrigolante deve essere filtrata – domata – e tornano in gioco le ombre, oscure e confortanti, in cui rifugiarsi. Le architetture, aperte e trasparenti oppure plasmate, persino scavate, divengono così balsamo fisico ma anche metafisico. E l’alternanza tra luci e ombre riprende a danzare, ritmica e ipnotica, sacrale e perturbante. Ancestrale.