Studio Mamo

Lorena D’Ilio e Andrea Mamo raccontano la loro filosofia progettuale. Una visione libera e in movimento, nomade, che si riflette nella loro casa-atelier a Milano. Disegnata sulle ceneri di un’antica filanda andata distrutta

di Raffaella Oliva

foto di Monica Spezia/Living Inside

Previous Next

Dal design all’architettura d’interni, dagli arredi alla decorazione, dal residenziale all’hospitality. Con Studio Mamo Lorena D’Ilio e Andrea Mamo, coppia nel lavoro e nella vita, mettono in pratica un nomadismo progettuale che si esprime nella combinazione di più linguaggi. Il loro regno è una casa-atelier dove spazi lavorativi e domestici si intersecano e sovrappongono. Siamo a due passi dal Naviglio Grande, in un ex edificio industriale dove la Mattel, sulle ceneri di una filanda andata distrutta, aveva una delle sue fabbriche di bambole, Barbie in primis. “Una storia suggestiva che si sposava col desiderio di dare vita a un luogo accogliente e conviviale, di qui l’enorme cucina con banco per incontri e aperitivi”, dicono Andrea e Lorena, che nel 2024 inaugureranno anche “una gallery con vetrina su strada, per mostrare al pubblico i vari aspetti del nostro mestiere”. 

Quali altri obiettivi hanno guidato la progettazione dello studio?

Andrea: Volevamo rendere più ampia possibile la volumetria: i volumi, la struttura in metallo e l’uso del vetro si abbinano alla perfezione con la parte in mattoni dell’involucro originale di fine Novecento, tutelata dalle Belle Arti. Ci immaginavamo una casa ibrida in cui dare rilievo alla luce e al giardino. L’idea di ricevere le persone in un contesto un po’ chiuso, un po’ aperto, era l’ideale per ciò che avevamo in mente: non il classico studio di architetti, ma un atelier dove cercare storie da tradurre in progetti in bilico tra architettura, design, arte, artigianato contemporaneo. Non vogliamo specializzarci, ma sperimentare. Anche con materiali diversi, dalla ceramica alla carta al metallo.

Avete una formazione multidisciplinare: quanto ha inciso?

Lorena: Tanto: io dopo l’Accademia di Belle Arti ho sempre lavorato tra moda, design e artigianato contemporaneo, arrivando a curare, con Andrea, la collezione casa di Roberto Cavalli e la collezione tessile per Borbonese, marchio con cui collaboriamo da quindici anni. Nel mentre non ho mai smesso di sviluppare progetti miei personali: tovaglie, tessuti, carte da parati. E nel fashion sono consulente per Première Vision, fiera internazionale del tessile per abbigliamento: creo, con molto anticipo, disegni, stampe, motivi volti a ispirare gli stilisti per le stagioni future. Questa flessibilità è diventata il dna di Studio Mamo: ci piace non avere una comfort zone.

Andrea: Io sono laureato in Scienze Politiche con indirizzo sociologico, per un po’ ho lavorato alla Demoskopea. Ma negli Anni 80, seguendo una mia passione, ho creato una serie di oggetti in carta e dei ‘Vasi Sospesi’ venduti rispettivamente al MoMa e da Bergdorf Goodman a New York. L’incontro con Lorena ha fatto il resto. Tra i due sono quello che ricerca storie su cui costruire i progetti: lei è il lato decorativo, io quello più rigoroso.

I vostri maestri?

Lorena: Da Munari ad Albini: il suo sistema modulare USM avrei voluto inventarlo io!

Andrea: Amiamo anche il design scandinavo e nord-europeo. Per questo siamo nomadi, a livello progettuale: per noi decorazioni, materiali e rigore stanno bene insieme. 

E la fascinazione per l’Oriente?

Lorena: Della cultura orientale, specie nipponica, ci intriga l’integrazione tra natura e quotidianità, tra il rispetto per le leggi naturali e il valore delle piccole cose, aspetti che nel design portano a curare e valorizzare anche i minimi dettagli.

Andrea: In Giappone l’attenzione verso la natura si unisce al rigore, visione che si adatta a un’idea di abitare fondata sul dialogo tra esterno e interno, e su un approccio green che, oltre a favorire la sostenibilità ecologica, ci costringe a un pensiero diverso. 

Lorena: Vero: se un tempo le piante in casa erano oggetti decorativi, oggi si entra profondamente in relazione con il verde e questo ci cambia, spingendoci a prenderci cura nello stesso modo della nostra vita. 

Nell’hospitality come vi muovete?

Andrea: Anche lì mescoliamo più linguaggi, vedi l’hotel Concorde a NoLo, Milano, pensato come un albergo aperto a un quartiere in fermento: ecco spiegate le grandi vetrate che danno sull’esterno e le sedute-trono leggere e iconiche, destinate all’outdoor, ma disposte all’interno.

Lorena: Si trattava di rendere verde un luogo con dei dehors minuscoli: oltre a creare dei giardini verticali, abbiamo usato una palette di quattro nuance di verde e ampliato l’effetto con lamiere a specchio.

Adesso su cosa siete impegnati?

Andrea: Su una linea outdoor e sul recupero di un borgo del 1003 in Abruzzo, in cui ci occuperemo dell’albergo diffuso e della parte di interior.

Quanto conta nel design l’elemento artigianale?

Lorena: Per noi moltissimo, come si evince da alcuni nuovi oggetti che popolano lo studio, che è sempre in evoluzione, cambia con noi. Uno è la seduta Suspended: ogni modello è un pezzo unico prodotto su ordinazione. La base è un foglio di ottone curvato a mano dallo storico laboratorio Padoa, noto per le lampade della galleria Vittorio Emanuele II a Milano.

Andrea: Con l’atelier artigianale Fabscarte abbiamo, poi, ideato delle carte da parati fatte a mano esplorando due mondi: quello della materia che muta e l’Oriente.