I luoghi (e le case) del pensiero

Un viaggio, letterario, nelle case dei maestri del passato. Per scoprire dove sono nate le idee che hanno cambiato il mondo

di Raffaella Oliva

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È di pochi mesi fa la notizia del ritrovamento di dieci vetrate artistiche comprate nel 1889 da Émile Zola per il suo ufficio a Médan, vetrate che dopo la morte dello scrittore nel 1902 erano state vendute a un uomo d’affari americano. Se ne erano perse le tracce, finché Lionel Burgun, guida presso l’attuale Maison Zola, è riuscito a scovarle grazie a una fitta ricerca sul web che gli ha permesso di localizzarle all’interno della Saint David’s School di New York. Ma perché Zola aveva voluto quelle colorate gemme rinascimentali per decorare la villa dove viveva? Credeva lo avrebbero ispirato? Sono domande suggestive, che riflettono la nostra naturale curiosità nei confronti delle vite dei grandi che hanno fatto la storia, basti pensare al crescente successo di biografie e biopic.

Sebbene non rientri strettamente in questo genere, il saggio di Paolo Pagani I luoghi del pensiero edito da Neri Pozza risponde esattamente al desiderio diffuso di esplorare le esistenze di personalità e maestri del passato. E lo fa a partire da una convinzione dell’autore che chiama in causa più discipline, tra cui l’architettura e il design: le idee che hanno cambiato la nostra visione del mondo – idee qui identificate con quei sistemi di pensiero che, visti inizialmente come eresie intellettuali, hanno provocato mutamenti di paradigma talmente significativi da assurgere a fondamenta della moderna civiltà europea – non potevano che nascere nei luoghi in cui sono nate. Non solo in quelle specifiche località, ma anche in quelle particolari case.

Perché “la casa è sempre autobiografia” e dunque, se vogliamo cogliere nel profondo il valore di certe Weltanschauung, può essere interessante andare a sbirciare dentro e fuori le residenze che le hanno nutrite. Spinoza, Cartesio, Newton, Leibniz, Darwin, Marx, Wittgenstein, Keynes, Heidegger, Hannah Arendt, Thomas Mann: questi i protagonisti di quello che Pagani, giornalista che non ha mai accantonato gli studi in filosofia iniziati alla Statale di Milano, definisce un “viaggio-reportage sentimentale”.

Non un saggio accademico, ma un’indagine che ci conduce sulle orme di una decina di pensatori – tra filosofi, scienziati, economisti, romanzieri – vissuti tra il Seicento e il Novecento, per illustrarci il legame tra i loro percorsi esistenziali e le loro elaborazioni teoriche (anche) attraverso gli spazi domestici che hanno abitato, alcuni conservati e oggi aperti al pubblico, altri no, ma tutti fonti essenziali di memoria. Ecco, allora, il modesto bilocale in un edificio georgiano a Soho, Londra, dove Marx risiedeva mentre lavorava su Il Capitale. Ecco lo studio di Darwin a Downe, dove il naturalista inglese sviluppò la sua teoria evoluzionista tra “alte finestre riparate da pesanti tendaggi”, per evitare che entrasse troppa luce, seduto a un tavolo in quercia Pembroke di manifattura ottocentesca, con un “sentiero sabbioso” a sua disposizione, dove pensare camminando.

O ancora, ecco la baita di Todtnauberg, nella Foresta Nera, dove Heidegger scrisse Essere e tempo: una costruzione in legno su un basamento in pietra, con una scrivania davanti a una finestra panoramica, che per il filosofo tedesco fu condizione stessa della sua pratica filosofica, la cornice in cui, citando Pagani: “pensare e abitare coincidono”. Senza dimenticare Casa Wittgenstein a Vienna, concepita negli Anni 20 dall’autore del Tractatus Logico-Philosophicus per la sorella Margarethe, su progetto rimaneggiato dell’architetto Paul Engelmann, in uno stile asciutto, senza fregi né marmi, con pareti grigio chiaro, pavimenti in pietra grigio scuro, porte e finestre in vetro e ferro, lampade a bulbo nude: “qui un pensiero addirittura si incarna nello spazio”.

Non sono che alcuni tra i tanti esempi al centro del libro che richiama alla mente testi di diversa natura, come Una stanza tutta per me di Virginia Woolf e La poetica dello spazio di Bachelard, ma che può anche essere posto in dialogo con le riflessioni contenute nel recente Filosofia della casa di Emanuele Coccia. Perché se la genesi delle idee resta un mistero, l’ipotetica correlazione tra le stesse e gli habitat dove prendono forma non si limita a essere un espediente narrativo, ma offre lo spunto per “una ricognizione di luoghi e pensieri dei quali occorre tenere viva la memoria”, come scrive Pagani. Cosa che nel magma comunicativo odierno non può che essere auspicabile.