Marie Deroudilhe

A Parigi, l’architetto Marie Deroudilhe interpreta senza nostalgia un lussuoso spazio Art Déco trasformandolo in un loft contemporaneo. Nel quale fotografie di Man Ray, opere d’arte e pezzi storici di design convivono come in una galleria

di Francesca Sironi. Adattamento Agnese Lonergan

foto di Monica Spezia/Living Inside

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Maestosa, elegante, fuori dal tempo. Nel cuore del IX arrondissement a Parigi c’è una lussuosa architettura Art Déco in pietra da taglio, non visibile dalle vie che la circondano. Quattro piani e un teorema di archi, modanature e ornamenti in stucco. “Nascosta alla fine di un vialetto lastricato è una delle poche risparmiate dalle trasformazioni di Haussmann che spazzarono via i vicoli medievali per ridisegnare la città moderna”, racconta l’architetto Marie Deroudilhe.

Classe 1976, diversi anni di gavetta tra Londra, da Terence Conran, e Parigi, da Patrick Jouin, prima di aprire il suo studio nel 2009, la progettista interpreta senza nostalgia l’intera abitazione al piano terra fino a trasformarla in un loft contemporaneo in cui opere d’arte e pezzi storici di design convivono come in una galleria. Ampi spazi e una luce naturale perfetta. Il posto giusto dove allestire la collezione di stampe fotografiche della padrona di casa, esperta di fotografia e grande conoscitrice dell’opera di Man Ray.

Emmanuelle de l’Ecotais, fondatrice di Photo Days ed ex responsabile della collezione fotografica del Museo d’Arte Moderna della Ville Lumière, ci vive con il marito e i quattro figli. “La sfida era mettere in equilibrio l’appartamento e la galleria d’arte, la casa di rappresentanza e l’intimità famigliare”, spiega Marie. “Ho cercato di modulare le atmosfere creando uno spazio domestico che per l’occasione diventa formale”. Trecento metri quadrati su un unico livello, due se si conta l’interrato dove trovano posto la spa, la palestra e una piccola sala cinema.

Il palazzo risale ai primi dell’Ottocento, la disposizione degli interni invece è il risultato di un rimaneggiamento parziale del precedente proprietario. Deroudilhe restaura ogni dettaglio architettonico originale enfatizzandolo con una mano globale di bianco mat, conserva il pavimento in cemento ecru lucido e mantiene i muri esistenti. Poi però ribalta la pianta a favore di una ripartizione più d’effetto. Lascia le camere private e la cucina defilate in affaccio sul cortile, e spariglia le carte nella zona giorno. Intanto perché mette l’ingresso di casa sotto le volte decorate alte sei metri del portico di accesso per le carrozze. Ma soprattutto perché trasferisce il grande living e la sala da pranzo sotto il soffitto vetrato del cortile interno, alla fine del corridoio di entrata: “Un open space a cielo aperto in cui accogliere e sbalordire gli ospiti”.

E per amplificare l’effetto “wow” osa anche con il design. “La soluzione minimal sarebbe stata troppo banale. Senza contare che avrei corso il rischio di raggelare gli ambienti. Ho scelto di alternare il dialogo con la provocazione”. Ad arredare la casa sono pezzi d’autore audaci accanto ad altri decisamente più classici.

Per bilanciare il tappeto monumentale di Michael Boyer, insieme alle poltroncine pop di Pierre Paulin mette il divano neutro di Cassina, il cocktail table in legno di Pierre Chapo e la lampada Arco dei fratelli Castiglioni. Mentre vicino al tavolo da pranzo, accosta le eleganti seggioline di Patrick Jouin e la sua libreria basica in ottone e acciaio cromato. Il mix ha un certo carattere. E regge il confronto con le onnipresenti opere di Man Ray e di nomi illustri della fotografia del Novecento e contemporanea. Capolavori senza tempo, maestosi e silenti.