A casa dell’interior designer Louisa Grey

Il manifesto progettuale di una designer d’interni è una villa vittoriana pensata secondo un approccio olistico ed ecosostenibile. Perché il nostro benessere non è nulla senza quello del pianeta che ci ospita

di Marzia Nicolini. Adattamento Agnese Lonergan

foto di Jan Verlinde/Living Inside

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Nella sua casa a Londra, una villetta a schiera vittoriana, Louisa Grey ha applicato i principi alla base di House of Grey, lo studio da lei fondato con un obiettivo preciso: promuovere un approccio olistico all’architettura. È ciò che la designer ha fatto con la sua dimora, concepita in modo da ridurre il più possibile l’impatto sull’ambiente e con l’intento di forgiare un’oasi antistress in grado di coniugare bellezza estetica, funzionalità e comfort, di incantare gli occhi, ma anche di trasmettere un senso di pace.

Fonte d’ispirazione è stato il periodo di pandemia, durante il quale Grey ha sentito il bisogno di fuggire dalla routine quotidiana: un evidente segno di affaticamento che l’ha spinta a rilanciare un’idea di casa come nido, tana, rifugio personale. Concetti alla base del progetto studiato per la sua villetta di quattro piani, che necessitava di cure e di attenzione. Louisa ne ha pianificato la ristrutturazione ponendo quali priorità, da un lato, il restauro dei dettagli storici, dall’altro, il desiderio di riqualificare un immobile d’epoca puntando su materiali e tecniche di costruzione sostenibili.

“Le pratiche di lavoro di House of Grey sono improntate sulla relazione simbiotica tra la salute dell’essere umano e quella della Terra”, spiega Louisa, che sia nell’hospitality sia nel residenziale segue la filosofia del Salutogenic Design, corrente che connette design e salute, e i punti cardine dell’economia circolare, ossia riduzione del consumo di materie prime, valorizzazione di prodotti di lunga durata e riciclo. Nel suo appartamento quest’impostazione si è tradotta in una ricerca di materiali ecologici che ha portato, per esempio, a usare l’argilla (di Clayworks) per rivestire le pareti della cucina e del pianterreno, in quanto materiale naturale, non tossico e dotato di qualità che ostacolano la proliferazione di muffe.

“Vivere in modo olistico significa considerare non solo l’aspetto di oggetti e materiali, ma anche le loro prestazioni: ci sono molte caratteristiche nascoste in uno spazio ben funzionante”. Di qui la scelta di utilizzare, per il tetto, tegole in ardesia naturale, che oltre a essere impermeabili, ignifughe e resistenti, sono più sostenibili delle scandole d’asfalto che oggi rappresentano quasi il cinque per cento del totale dei rifiuti in discarica. Non solo: in tutto lo spazio domestico si è ricorso a un isolante in lana di pecora di provenienza locale per fornire un’imbottitura termica e acustica a soffitti, muri e pavimenti.

Anche le assi del parquet arrivano dal territorio: alcune sono state salvate dalla casa originale, altre da un’abitazione vicina e poi pulite, trattate, riciclate. Stesso discorso per la cucina, fabbricata con legno ricavato da alberi abbattuti per un altro progetto e completa di armadi e cassetti in multistrato di betulla e di frontali in frassino del Regno Unito, finitura che garantisce una minore impronta di carbonio. Tra le stanze, nessuna irradia serenità come la camera da letto principale, arredata con pochi, semplici elementi, e divisa dal bagno da porte-finestre a tutta altezza: al di là dei vetri, sotto a due lucernari, campeggia una vasca con rubinetti in ottone.

“Quando mi ci siedo e guardo gli alberi fuori mi sento fortunata di essermi costruita una vita da cui non voglio scappare”. In ambienti dominati da nuance di bianco e toni chiari e sabbiosi, è facile notare la presenza di forme morbide e curvilinee che regalano fluidità e armonia agli interni: si va dai lampadari lunari in carta di riso al divano Dandy dalla sagoma arrotondata di Massproduction, dalla lampada da tavolo Atollo 233 in vetro di Murano alla sinuosa scala dai profili smussati.