Industrial landscape

Spazi iper tecnologici e artificiali, in cui l’uomo scompare. A Milano, le fotografie di Carlo Valsecchi indagano con occhio clinico le architetture realizzate da ACPV Architects

di Cecilia Moltani

foto di Carlo Valsecchi

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Scatti dal taglio asettico e dalla precisione chirurgica. Come l’ambiente futuristico di una navicella spaziale. È la cifra distintiva dei progetti fotografici di Carlo Valsecchi. Nelle sale dello storico Palazzo Morando, dal 12 aprile al 12 maggio 2024, una mostra e un libro racconteranno, attraverso gli occhi e l’obiettivo dell’artista, i progetti realizzati tra il 2000 e il 2020 dallo studio di architettura e interior design ACPV Architects – Antonio Citterio Patricia Viel tra Amburgo, Taiwan e Milano.  

Nelle immagini di Carlo Valsecchi, l’ambiente costruito si fonde nel paesaggio naturale in un processo di scambio, in una sequenza composta da analogie visive sviluppate nella loro interezza nel volume ACPV Architects Antonio Citterio Patricia Viel as seen by Carlo Valsecchi (Silvana Editoriale, 2024). Il libro è arricchito dai contributi del curatore e saggista Francesco Zanot, dell’architetto Valerio Paolo Mosco, del critico d’arte e curatore Francesco Bonami e dello scrittore Deyan Sudjic.

Il lavoro – mastodontico – di Valsecchi si inscrive in un’indagine più ampia che l’artista porta avanti da decenni: quella sulle architetture industriali e i paesaggi artificiali, raccolta nelle pagine di Posterius, il progetto fotografico, edito sempre da Silvana Editoriale, nato nel 2017 durante la documentazione della costruzione del nuovo stabilimento Philip Morris Manufacturing & Technology di Crespellano, a Bologna.

In entrambi i volumi, Valsecchi immortala spazi costruiti dalla mano dell’uomo: intelligenti, ipertecnologici, automatizzati, eppure svuotati da ogni presenza umana. Silenti e razionali, sono gli spazi delle macchine, del controllo, dell’ordine, del numero. Sono spazi surreali, a tratti metafisici, in cui l’assenza di tempo e il rigore simmetrico trasmettono un senso di inquietudine e insieme di pulizia visiva. Sono il simbolo del compimento della cultura materiale e industriale: siamo a tutti gli effetti immersi nell’era della tecnica. Eppure, questi paesaggi artificiali sono anche luoghi luminosi, abbaglianti, a tratti rarefatti. Possiedono una bellezza fantascientifica, quasi aliena, che ci incanta e ci ipnotizza.  

Antropizzati eppure deumanizzati, addomesticati ma inabitati, i paesaggi industrialmente modificati di Carlo Valsecchi sembrano chiederci se quelle distopie teorizzate nel cinema e nella letteratura appartengano a un futuro fittizio o se, invece, siano già qui, seppur con implicazioni differenti. D’altronde, la convivenza uomo-macchina è iniziata ben prima del personal computer e del celebre spot del primo Macintosh lanciato da Apple nel 1984. Adesso, sembrano suggerirci gli scatti di Carlo Valsecchi, vedremo come questa relazione proseguirà. E quale lato prevarrà. Se quello della bellezza o dell’inquietudine. O entrambi.