5 paesaggisti per 5 visioni

Dal micro al macro, con una forte attenzione alle sensazioni e alla salvaguardia del territorio. Abbiamo chiesto a cinque paesaggisti dagli approcci e dalle poetiche differenti - Antonio Perazzi, Teresa Moller, Marco Bay, Studio Paz e Andreas Kipar - di aprirci i loro quaderni da disegno e portarci dentro al loro immaginario

di Giulia Capodieci

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Il neurobiologo Stefano Mancuso parla spesso di Plant blindness, “cecità verso le piante”, una caratteristica per cui il nostro cervello mette in secondo piano ciò che non rappresenta un pericolo per la sopravvivenza. Notiamo quindi un animale ma spesso le piante diventano un’informe macchia verde che passa inosservata. Inoltre, vivere in ambienti sempre più antropizzati crea una frattura tra uomo e natura che rischia di farci percepire come padroni del pianeta invece che coabitanti. I danni di questo approccio li vediamo sempre più chiaramente tanto da rendere urgente un cambio di paradigma: da una ricerca prettamente estetica a un lavoro che mescola etica, creatività e rispetto per gli ecosistemi. E se ogni giardino, ogni terrazzo, ogni tetto, ogni bosco, argine e prato diventasse l’occasione per produrre nuovi immaginari, per infestare gli spazi con la meraviglia e le persone con la felicità generata dal trascorrere del tempo a contatto con la natura? Forse è tempo di compiere la “rivoluzione del metro quadro”, così definita dal vivaista ed esperto di ortoterapia Andrea Mati, ovvero imparare a prendersi cura del metro quadro di verde che ci circonda, coltivarlo e dedicargli tempo, non inseguendo una ricerca egoistica ma per generare confini osmotici con la collettività che ci circonda.

Questa teoria richiama il concetto di “agopuntura urbana” che, come ricordato dall’architetto paesaggista Anna Lambertini nel libro “Atlante delle nature urbane”, scritto con Maurizio Corrado e pubblicato da Compositori, nel riprendere la tesi dell’architetto e urbanista Jaime Lerner, invita ad adottare un approccio alla rigenerazione urbana basato sull’attivazione di piccoli interventi in grado di infondere energia localizzata e suscitare ispirazione a lungo raggio. Non a caso nella ricerca e nei progetti portati avanti da Anna Lambertini si respira la volontà di creare ambienti verdi che stimolino attività didattiche, di gioco e di riposo. L’attenzione è quindi sempre focalizzata a come sollecitare comportamenti umani a contatto con la natura. Impegnandoci a coltivare una consapevolezza concreta sulla forza generativa del mondo vegetale, dobbiamo continuare ad allenare lo sguardo verso diversi modi di esprimere e abitare il paesaggio. E lo facciamo insieme a chi è abituato a sporcarsi le mani di terra: Antonio Perazzi, Teresa Moller, Marco Bay, Studio Paz e Andreas Kipar.

ANTONIO PERAZZI – SELVATICO

Architetto paesaggista e giardiniere, segue progetti in tutto il mondo ed è autore di numerosi testi

“Faccio questo mestiere perché ho una fascinazione incondizionata per la natura: il suo essere indomabile mi pone nella condizione di esserle alleato ma so di non poterla controllare totalmente. Ruolo del giardiniere paesaggista è di stimolare ed enfatizzare le caratteristiche di un luogo sapendo che lavorerà con piante che hanno il proprio carattere, che avrà a che fare con l’imprevedibilità del clima e soprattutto con la trasformazione nel tempo del proprio progetto. Guardare alla natura selvatica ha la peculiarità di riportare i piedi per terra. Nella mia vita ho visto più luoghi selvaggi belli che giardini belli. La bellezza sta nel tessere un dialogo tra uomo e natura. In giardino, io entro in punta di piedi. Mi do il tempo di osservare e capire come posso assecondare l’identità del luogo, senza mutarla radicalmente. In luoghi naturali spesso il progetto è orientato su come rendere percepibile il mondo selvatico: più che piantare massivamente, lavoro per creare percorsi e viste. Se l’abitante di quel giardino saprà accorgersi delle meraviglie della biodiversità sarà più propenso a prendersene cura e saranno i suoi piedi e mani a diventare giardinieri. In luoghi urbani cerco di lavorare con il contrasto: creare squarci di selvatico in ambienti costruiti e puntare all’autosufficienza per lasciare margine alla natura di esprimersi con sincerità“.

“Nel mio giardino a Piuca, in Toscana, sto sperimentando proprio questo: dedicare spazio alla prateria, osservarla trasformarsi e integrarsi a zone più disegnate. Vorrei capovolgere le gerarchie: non è l’uomo a dover controllare la natura. Il mio obiettivo è creare le condizioni perché la natura sia a suo agio con gli esseri umani. È in questo dialogo alla pari che si resta sorpresi. È nel non imporre con la forza un disegno a un luogo che si scopre che il giardino non deve necessariamente essere romantico o formale, può trovare la bellezza anche in piante spinose, piante toste, piante a cui si dà il tempo di fiorire e seccare. Se si mette da parte il controllo, si può imparare molto dalla natura, a partire dall’arte della trasformazione”.

TERESA MOLLER – VUOTO

Architetto paesaggista cilena, dal suo studio di Santiago segue progetti in tutto il mondo

“Amo guardare al paesaggio nella sua interezza: alberi, arbusti, cactus ma anche terra e rocce. Riservo un posto speciale a ciò che potrebbe essere considerato uno scarto, non buono o abbastanza prezioso per un progetto. Il mio immaginario abbraccia il paesaggio desertico dell’Atacama, in Cile, e nei miei progetti c’è sempre un ritorno alla wilderness, lascio sempre uno spazio per permettere alla natura di esprimersi liberamente, altrimenti come potremmo restare sorpresi? Credo che la sorpresa generi apprendimento e susciti felicità. Se dovessi controllare tutto nel giardino sarebbe come lavorare con elementi non vivi“. 

“Se invece lascio spazio alla natura di esprimersi, quel luogo mi trasmette energia e senso di libertà. Il deserto mi ha insegnato a guardare al paesaggio come a un corpo nudo. Anche se spesso passa inosservato, ogni elemento è importante: il cielo, le rocce, il calore, l’acqua, ma anche come l’aria modifica i colori. Tutto può essere duro e morbido allo stesso tempo e ogni elemento interagisce con l’altro. Il deserto mi ha anche insegnato ad apprezzare il vuoto. Per stare nella natura io credo che dobbiamo fare amicizia con il vuoto, per imparare a lasciare spazio alle piante di tracciare nuovi percorsi nel suolo e tra le pietre, ma soprattutto per imparare a presentarci ai ‘luoghi vuoti’ senza immagini già digerite, senza preconcetti o abitudini. Dobbiamo lasciare che sia il luogo a raccontarsi, dobbiamo far fare un passo indietro al nostro ego. In fondo essere paesaggisti vuol dire lavorare in relazione con la natura e co-creare un luogo per altre persone e altri esseri viventi“.

MARCO BAY – MERAVIGLIA

Architetto paesaggista, fonda il suo studio nel 1997 impegnandosi in progetti in Italia e in Europa

Essere immersi in un paesaggio naturale, in un bosco o in una prateria selvatica risveglia il senso di meraviglia. Nel progettare un giardino punto a evocare questa emozione. Devo provarla io fin dai primi disegni, risvegliarla nelle visite al vivaio e nella scelta delle piante, scuoterla con i giochi di contrasti e prospettive. Poi sarà il tempo a continuare il lavoro e a generare l’inaspettato. La meraviglia è sapere creare un’armonia nel rispetto dell’anima del luogo. Vuol dire anche giocare con le piante per creare effetti sorpresa o ambienti che trasportano in altri mondi. L’ultimo ingrediente è il saper progettare alleandosi alla natura, alle stagioni e alle architetture. Per questo accanto all’opera monumentale La Sequenza, ideata dall’artista Fausto Melotti all’ingresso dell’edificio post industriale che ospita Pirelli HangarBicocca a Milano, ho giocato con l’oro e il fluttuare delle graminacee”. 

”La meraviglia per me nasce anche dallo scoprire nuove piante, metterle a dimora e scoprire il loro sviluppo e i disegni che creano. Come quando accosto all’argento degli ulivi il verde acido dell’euforbia, alle foglie bronzee della quercia i fiori scultorei dell’ortensia paniculata, quasi fossero delle opere di Alik Cavaliere. D’inverno resto ipnotizzato dalle foglie accartocciate del loto, per arrivare a respirare la primavera con fioriture di Chionanthus o di Amamelis. L’estate per me è blu, forse perché l’Italia è un grande giardino mediterraneo o perché ho il privilegio di lavorare guardando il mare. Vedrei quindi fiorire una Perovskia, un Agnocasto, una Alyogyne Santa Cruz. In giardino non devono mai mancare i profumi, soprattutto quando inaspettati: un Calicanto che fiorisce in inverno o un Cestrum nocturnum che con i suoi effluvi notturni ti trasporta in India. Si gioca con le misure, tra equilibrio e disequilibrio, tra spazi intimi e spazi aperti, tra luoghi nascosti e ombrosi e luoghi dove sdraiarsi al sole. In ultimo, è impensabile un giardino senza raccolta. Il giardino è un dono e offre doni. Chiudete gli occhi e provate a immaginare una siepe di more e rose”. 

STUDIO PAZ – EMOZIONE

Atelier creativo specializzato in architettura del paesaggio fondato in Puglia da Enrica Farinelli e Giuseppe Tricarico

“Il nostro approccio alla progettazione nasce dal forte desiderio di creare giardini da vivere, che permettano una maggiore interazione di tutti i cinque sensi in modo da riuscire a realizzare luoghi che siano davvero capaci di emozionare. Creare uno spazio abitativo, compreso il giardino, significa essere consapevoli che andremo a condizionare le abitudini, le sensazioni, le emozioni e i comportamenti di chi lo vivrà. Nella nostra progettazione guardiamo innanzitutto al territorio. Lavorando molto in contesti mediterranei teniamo conto della gestione delle risorse, in particolare dell’acqua, per poi lasciarci coinvolgere dalle storie e dai desideri delle persone che abiteranno ciascuno degli spazi che ideiamo“.

Un giardino è una storia più che una realizzazione prettamente estetica. Amiamo pensare che il nostro lavoro, frutto di tanta fatica, non solo in studio ma spesso anche in campo, in qualsiasi condizione atmosferica, tra sole e pioggia, possa aiutare quante più persone possibili a innamorarsi della natura incentivando un ritmo di vita più lento. Quella che vorremmo stimolare è la voglia (e la capacità) di fermarsi per costruire ricordi di una bellezza che solo in giardino riusciamo a sentire autentica, da condividere in modo semplice“.

ANDREAS KIPAR – RISORSE 

Architetto, paesaggista e urbanista, è il fondatore e direttore creativo dello studio Land

“Il nostro tempo ci obbliga a tornare a sentire la terra, a ripartire da soluzioni nature based. Il giardino esce da confini privati e si allarga alla città e ai luoghi urbani con un cambio di paradigma: ciò che facciamo oggi non deve più essere sostenibile solo in senso compensativo, ma dobbiamo generare un impatto che rimedi ai danni fatti. Un approccio nature based guarda a tre elementi: suolo, atmosfera e acqua. Progettare uno spazio verde non può più essere solo un intervento ornamentale, dobbiamo ripensare il lavoro dell’architetto paesaggista imparando a progettare insieme alla natura. Dobbiamo diventare coltivatori più che esteti. La natura ci dà la possibilità di liberarci dalla formalità e dalla staticità del costruito per aprire lo sguardo a forme più inclusive“. 

“E se parliamo di generare rotture, perché non partire dagli asfalti? Dobbiamo lasciar respirare il suolo, eliminare l’impermeabilità. Come nel caso dei rain garden sperimentati a Vienna: si rimuove l’asfalto per creare dei volumi di suolo, coltivati con alberature e piante perenni, in grado di assorbire eccessi d’acqua e drenarli. Il ruolo di chi progetta con la natura è quello di immaginare scenari radicali pensati per un bene pubblico e renderli belli, abitabili. Pensiamo alla High Line di Piet Oudolf: un luogo abbandonato torna a essere abitato grazie alla natura, fino a diventare un simbolo di vegetazione selvatica in una metropoli caotica come New York. L’immaginazione è una grande forma di coraggio e chi ha la possibilità di far prendere forma al nuovo, al desiderio, alle idee ha il compito di dare forza al cambiamento. Attraverso un design bello, e perché no ludico, possiamo coinvolgere le persone e far apprezzare nuovi modi di progettare in sinergia con le risorse naturali, cercando nuove soluzioni per la crisi climatica e la complessità che affronta il nostro tempo“.